domenica 28 febbraio 2016

Perdono, fiducia in Dio e gioia - prima di tutto

Monica Romano

Meditazioni, riflessioni e condivisioni di un indimenticabile ritiro quaresimale 

Domenica scorsa II di Quaresima ci siamo incontrati per la prima volta come gruppo di “giovani-adulti” per provare a fare un cammino insieme, iniziando da una giornata di ritiro in preparazione della Pasqua. Subito dopo i vari arrivi in differita di ciascuno e un necessario caffè per iniziare con uno spirito ben sveglio la mattinata, ci siamo incamminati verso la splendida Chiesa di San Sebastiano al Palatino – a noi gentilmente riservata insieme alla grande sala interna e al giardino paradisiaco dove abbiamo trascorso la mattina sotto un sole meraviglioso. Guidati da don Francesco, parroco di Santa Maria ai Monti, eravamo Jiana, Laura, Monica, don Pietro, Rob, Rui e io (ben due Monica!). Dopo la recita delle Lodi, siamo stati guidati alla riflessione personale e alla condivisione di gruppo dalle meditazioni di don Francesco. 





La meditazione della mattina era sul brano evangelico del Figliol Prodigo. Quella pomeridiana una riflessione sull’essenza e le sfide di una spiritualità cristiana. Riporto qui alcune riflessioni della meditazione mattutina sul Vangelo. Tra i tanti e profondi spunti di riflessione, don Francesco ci faceva notare che il figlio che ha sbagliato e torna su suoi passi viene prima di tutto perdonato, ben prima che il padre abbia modo di ascoltare le sue motivazioni, giustificazioni, spiegazioni...Tra l’altro, le motivazioni del ritorno sono molto concrete (il giovane aveva sperperato le ricchezze anticipategli dal padre e stava morendo di fame e di stenti), quindi non delle motivazioni diciamo così “spirituali” sembrano essere alla base della sua “conversione”. Tuttavia, noi cristiani dobbiamo anche  imparare a considerare le motivazioni di chi parte, di chi se ne va. Spesso una nostra cattiva testimonianza e’ alla base dell’allontanamento di qualcuno dalla Chiesa. La misericordia, che Papa Francesco ha messo al centro della sua vita di pastore (ricordiamo il suo motto episcopale: miserando atque eligendo) e poi anche di papa, e’ accoglienza reale, e’ un atto concreto, e’ restituire dignità piena. La veste e l’anello rappresentano bene la concretezza del perdono del padre. La parabola ci mostra anche come spesso vediamo con sospetto la felicità, la gioia, la festa, e invece notiamo la malizia di certi comportamenti anche laddove non ve ne e’ evidenza e ci soffermiamo più sul male che contagia piuttosto che sul bene che si propaga. Ciò equivale a snaturare il Cristianesimo, che è in primo luogo il “lieto annuncio”. Don Francesco ci ha invitati a interrogarci sulla nostra vita, su chi siamo o siamo stati: il padre, il fratello maggiore o il fratello minore...Molto probabilmente un po’ tutti e tre, in momenti o in circostanze diverse della vita





Alla profonda meditazione di don Francesco, che a me e’ parso abbia aperto il cuore un po’ a tutti, e’ seguita una pausa di riflessione personale e poi la condivisione. Don Pietro notava come spesso abbiamo una pretesa nei confronti di Dio, di fare e decidere ciò che vogliamo noi. Spesso inoltre pensiamo di non essere degni, pensiamo ancora “da schiavi” e non da figli, come il Vangelo ci dice di essere. Il figlio maggiore ne è l’esempio, non si rende conto di essere in primo luogo figlio, perciò amato dal padre.. Laura si e ci domandava se veramente sappiamo cosa sia la misericordia. A volte non lo sappiamo perché non ne abbiamo potuto fare esperienza piena, in famiglia, nella vita... Tutti e due i fratelli per vie diverse non sanno amare, come anche noi, perché nella vita, nella famiglia non sempre l’amore ci viene trasmesso. Incontrando il Signore possiamo incontrare l’amore, di chi ci ama senza calcolo, dando la vita per noi. Ma anche questo è  difficile da capire, accettare, vivere. Il figlio maggiore pensa che la strada dell’obbedienza formale renda più “giusti” i suoi desideri, le sue aspettative. Il Signore sa che abbiamo bisogno di imparare ad amarLo. Sa anche che abbiamo necessità materiali, dei sogni e desideri profondi, perché li ha messi Lui stesso nel cuore dell’uomo. Tuttavia, i tempi e i modi del Signore non sono i nostri. Spesso ci sembra che la via del deserto, della schiavitu’ sia finalmente finita, invece ci ritroviamo a starci ancora dentro, di nuovo, dopo aver pensato che fossimo arrivati al traguardo. Forse non era ancora il momento, forse non avevamo capito niente o forse  cercavamo qualcosa di sbagliato, come il figliol prodigo. Come scriveva suor Faustina nel suo diario, Dio le dice: "Il mio amore non delude nessuno". Dobbiamo cercare di fidarci di Dio, Che ha a che fare con la nostra continua incredulità, Che non ci destina a un perenne deserto, alla mortificazione, ma a un cammino, anche con i nostri desideri. Non dobbiamo nasconderci dietro un’idea un po' ipocrita di obbedienza, ma dobbiamo aprire il nostro cuore a Dio e confidare in Lui. 






Rui ci fa notare come il figlio minore abbia avuto il coraggio di dire “ho sbagliato” . Anche San Pietro ha tradito eppure il Signore gli ha affidato la Chiesa. Dobbiamo affidarci al Signore, Che si manifesta anche in piccoli gesti che possono cambiarci la vita. Rui ci confida di essersi spesso domandato, da cristiano: Perché la sofferenza? Qualcuno di molto importante nella sua vita e nel suo percorso di conversione gli ha fatto notare che neanche la via del Signore Gesù e' tutta dritta. Monica ha sottolineato come sia difficile spesso realizzare, vivere la compassione, la misericordia. E come cristiani abbiamo molta responsabilità nel dare una cattiva testimonianza. Io riflettevo però che la misericordia, l’amore, il bene, hanno il potere di  contagiare e su questo dobbiamo lavorare. E’ facile e a tutti e’ venuta la tentazione di dire “e’ bello per noi stare qui; facciamo qui tre tende”, cioè fuggire, isolarsi dal mondo. Ma non è questo che un cristiano deve fare. Un cristiano deve stare in prima linea, nel mucchio. Certo è molto più difficile. Poi notavo come è vero quello che diceva don Francesco: il figlio arriva e il padre lo ha già perdonato, prima di tutto. Però è anche vero che il figlio riconosce di aver peccato, come diceva Rui. Quindi nessun peccatore e’ senza speranza. E soprattutto, prendiamoci la nostra parte di “responsabilità” – la cattiva testimonianza che può aver indotto qualcuno ad allontanarsi, come diceva Monica. Cercando di esercitare la misericordia come il Vangelo e Papa Francesco ci insegnano: non una forma di “buonismo”, ma “forti” della testimonianza che diamo e con “autorevolezza”. Rispondevo poi alla “provocazione” di don Francesco sulla felicità. I santi sono felici. Non ci sono santi che non lo siano, questo è una evidenza che dovrebbe farci riflettere. La Chiesa – cioe’ i preti, i religiosi – spesso hanno contribuito a costruire questa idea di un Cristianesimo “triste”, un po’ grigio, severo, intransigente, forse anche perché hanno per molto tempo relegato i laici ai margini. La fede invece è festa perché è qualcosa che non può non condividersi. In paradiso non saremmo felici se andassimo da soli. E il figlio maggiore non aveva capito che stare con il padre – cioè stare con Dio – e’ sempre, tutti i giorni, tutti i momenti, una festa.



 

Sono uscita da questo ritiro felice, rinfrancata da giorni faticosi e spesso difficili, e arricchita dalla profondità di pensiero e dalla testimonianza di vita e di fede dei miei cari amici che ho desiderato avere tutti insieme in questa giornata. Sono stata contenta di vedere che tutti erano  a loro volta felici e pur non conoscendosi in molti casi, sono riusciti subito a trovarsi in sintonia. Mi ha colpito ancora una volta che semplicemente, Vangelo alla mano e volontà di mettersi in ascolto di Dio e degli altri, abbiamo non solo condiviso dei "pensieri stupendi" e quella speranza (o quell'amore) che non delude, ma siamo riusciti a "fare festa". Ci vuole veramente davvero poco, anche se poi è anche tanto, per essere felici















sabato 27 febbraio 2016

Il male: peccato, castigo o necessità di conversione?

Omelia della III Domenica di Quaresima
Don Francesco Pesce 

Due fatti di cronaca molto conosciuti (una rivolta di zeloti e la caduta di una torre, il cui basamento è visibile ancora oggi, in un quartiere di Gerusalemme chiamato Siloe) servono a Gesù per scardinare definitivamente  il nesso causale che ancora si credeva esistente tra il castigo di Dio  e  i peccati degli uomini.

Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico”.

Gesù nega decisamente ogni rapporto  tra i peccati, le disgrazie e i castighi di Dio. Tuttavia, con la stessa decisione afferma: “Ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.” Il Signore ci chiama a conversione, cioe' a cambiare strada, rotta, a riorientare la nostra vita, piuttosto che ad avventurarci in superstizioni e millenarismi inutili e dannosi. Di nuovo vi incoraggio, in particolare in questo tempo di Quaresima, tempo favorevole: "Lasciatevi riconciliare con Dio!". 

Come il Signore ha detto chiaramente, il male non viene dall'esterno, viene da dentro di noi. Questo vuol dire che il peccato si compie nel nostro cuore e noi siamo più o meno responsabili di esso (a seconda delle circostanze, della consapevolezza del nostro agire, ecc.) ed è spesso la causa o una delle cause della nostra e altrui infelicita', del male che ci colpisce in prima persona o colpisce gli altri. Ecco cosa voleva dire il Signore, quando ci ammonisce a convertirci. Ci sta dicendo che se sono egoista, individualista o peggio ancora "corrotto" - come denuncia spesso Papa Francesco - mi faccio del male ma faccio del male anche agli altri. A chi mi sta vicino, alla società, al mondo....

Ci vuole - potremmo dire - una vera e urgente conversione personale e sociale, una riorganizzazione della vita comune, poiché si produce da una parte generando enormi ricchezze per pochi, e dall’altra terribili povertà per molti. Sono urgenti una conversione verso il bene di tutti, senza esclusione di nessuno, e un rapporto nuovo con il denaro e la natura. Dobbiamo in definitiva rispondere alla nostra originaria vocazione di uomini che vivono in armonia tra di loro con il creato e con Dio.

Il Dio di Abramo, di Mosè, rivelato in pienezza in Gesù Cristo, ha avuto pietà degli oppressi, ha ascoltato il grido dei poveri  e come ci ricorda la Prima Lettura di oggi, ha mandato  Mosè a liberare il suo popolo. La conversione è anche farsi alleati degli oppressi e contribuire alla loro liberazione. Non c’è pace senza giustizia. Non è uno slogan, ma uno dei fondamenti del Vangelo e un pilastro della Dottrina Sociale della Chiesa.

Come dicono esperti in vari settori al livello internazionale e come vediamo nella nostra esperienza pastorale, di educatori, di genitori, di tanti che cercano di dare una testimonianza cristiana nella società, siamo ormai a un punto senza ritorno. Siamo un po' come l’albero di fichi ricordato dal Vangelo, alla cui base il padrone ha già posto l’ascia e  che deve essere tagliato. Per la misericordia di Dio però ci è concesso un tempo supplementare, affinché ciascuno di noi abbia la chance di un sussulto di dignità e contribuire a far ripartire una nuova umanità. “Padrone lascialo ancora questo anno finchè gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.Vedremo se porterà frutto per l’avvenire, se no lo taglierai!”

Ricordiamo Giovanni Battista che  aveva detto: “Ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e buttato nel fuoco”.  Gesù invece davanti a noi, al nostro peccato, al nostro egoismo, davanti alla natura violentata dall’uomo, offre ancora nuovo tempo per portare  frutto e ci aiuta come un umile contadino, curvandosi verso ognuno di noi.



Pope Francis and China

Theresa Xiao

"In the Far East and in various parts of the world, millions of men and women will celebrate the lunar new year. I wish that all may experience peace and serenity in the heart of their families.” With these words Pope Francis addressed his wishes to Chinese and East Asian people during the  Angelus prayer, a few days after the publication of the interview for AsiaTimes (http://bit.ly/1KTQ8No) , which focused completely on China. The Lunar New Year or the Spring Festival is one of the most important and popular festivities in East and South-East Asia - we prefer these denominations having a less Eurocentric connotation -, primarily in China. To the interviewer - finally a sinologist who knows well ancient and contemporary China - Francis speaks of the “Middle Kingdom” with words of admiration, as a "great country" with a "great culture" and an " inexhaustible wisdom", a nation that has "a lot to offer the world."



In the footsteps of his immediate predecessors, Pope Francis shows great attention towards China. What primarily distinguishes him from the other popes, however,  is the fact of being a Jesuit and a Latin American. This definitely constitutes a "comparative advantage" that may help to have a greater margin of action in the long and thorny “Chinese issue”. Certainly, China associates the Jesuits with the idea of dialogue, openness, science, culture - embodied in a paradigmatic way in the great missionary Matteo Ricci, in Chinese Li Madou利玛窦. The fact that Pope Francis is not from the West of the colonial powers (which even today recall a very sad page of the Chinese history, a disgrace, an open wound) makes him appear to the Chinese people in a different way compared to his predecessors. Colonial powers which foreign missionaries often associated themselves to, in the eyes of the Chinese people. Contributing to this idea that persists even today, that Christianity cannot be anything but a foreign religion of the '' imperialist West." There was a saying in the past: "One more Catholic, one less Chinese", that was to emphasize the alien nature, almost an "incompatibility" between China and Christianity, at least in the Chinese imaginary.

Francis has undertaken with caution, but it seems with determination, the path of reconciliation and dialogue with China. Of course taking the important steps of his predecessors, especially the Letter to Chinese Catholics, which was perhaps conceived under the pontificate of John Paul II and realized by Benedict XVI. But softening  the tone and leaving less room for voices undoubtedly authoritative, as monopolistic, that especially in recent years have only ever denounced the dark side of China. Certain tones, certain insistence, and certain ways to represent China by some who have risked to almost appear as "doomsayers" are not in line with the Church of Francis; a Church of dialogue, mutual respect, and mercy. The Church that looks at and works on "what unites rather than what divides." The Church of the Second Vatican Council, which in the XXI century cannot continue to "bypass" China (often labeled with images that seem old from 50-60 years ago) and relate to China only through  sentences and even excommunications, which have humiliated and hurt Chinese Catholics. The Great China of an ancient civilization, the China of Confucius, who lived 500 years before Christ and was a great teacher of moral and social harmony. China that generated the depth of thought, then evolved into a religious spirituality, of Daoism, characterised by a creative vitality. That China that received Buddhism from India, re-shaping it and mixing it with its own philosophical and religious traditions in a mutual enrichment. And in the modern era, China that first among the devoloping countries achieved the Millennium Development Goals and in the years 1990-2005 took out of extreme poverty over 470 million people. A concrete example to the world that poverty can be defeated if there is a political will. An achievement that the pope that  took the name of Saint Francis of Assisi certainly has not overlooked - unlike so many, religious people, journalists and commentators in various capacities. Because Francis can count on very close people who know and understand China and are in line with him with respect to what strategy should be followed.  Certainly the strategy of prudence and patience, but that does not mean closure and unwillingness to dialogue in order to find a compromise. Words that many do not like, those who do not see many realities, small and large, where mediation is the only way to move forward. Those that may also not know that the "middle way" is also a value of Chinese culture – the Doctrine of the Mean is one of the Four Books included among the Confucian Classics. The Chinese culture emphasizes harmony tending to seek it, to see it, even where there are opposites that in the Western view are irreducible. And often giving much attention to the form, the "ritual."

For the Church that “goes forth” as indicated by Francis, this can be a great opportunity to capitalize on the dialogue. With a sincere respect for who has been and is now the counterpart, combined with a deep and pragmatic awareness. China,  a "great country" that has made great achievements in socio-economic development and acquired an important place on the international stage. Not without “side effects” – i.e., the environmental issue, the sustainability of a development process that has been as radical as perhaps too fast, the growing social inequalities, the challenges associated with impressive internal migration, an aging population .... Not to mention the consumerism and the galloping materialism which are eroding family relationships and social relations, corrupting traditional values and jeopardizing the future of the younger generation. Problems that China itself has learned to recognize and now seeks to address.

Even Pope Francis shows once again to know all this. It is part of human history, the history of peoples, to pass "through lights and shadows" and a reconciliation is also needed with its own history, its past, says the Pope to China in the interview, but he also says that to all of us and to all Nations. The Church in China also deeply needs for reconciliation. The Church in China too (which is often represented with clichés, in a simplistic way and by whom he has never known it directly), has kept the faith in very difficult times. The whole Church, not only one side. A gift, a grace that is certainly the inspiration, the outpouring of the Holy Spirit.

We are sure and we pray that Pope Francis did not drop all this but values it, builds on it, brings it to completion, without lingering on entrenched positions. There is need to look and go further, to ensure that the Chinese Church is more and respectfully accompanied by the universal Church to better address new challenges - the same facing the Church (more generally the society) of the "Western world”, before it is too late. Secularism, the worldliness, careerism and materialism, individualism, which also invest Christians and may question their existential choices, undermining their witness of faith. And more intra ecclesia the problem of the formation (cultural, theological and spiritual) of the clergy and religious, lay participation and more generally the implementation of the Second Vatican Council, the role and the witness of Christians in society and in the world of culture , the proclamation of the Gospel in a context where Christians are a minority and where increasing prosperity begins to make more difficult among young people make radical lifestyle choices and of total donation to the Church ......

It is time to break down "old" walls of "enmity", find points of convergence in the common values that can contribute so much to the construction of world peace, and also support the Chinese Church to become, with more prophecy, a Church that truly goes forth, as Pope Francis has been preaching tirelessly since the beginning of his pontificate.

giovedì 25 febbraio 2016

Sull'amicizia tra un sacerdote e una donna

Una bella amicizia durata oltre trent' anni, di Papa Wojtyla con una donna - Anna Teresa Tymieniecka, filosofa americana di origini polacche - ci può aiutare a riflettere proprio sul valore dell’amicizia tra un prete e una donna. Wojtyla, come sappiamo, ebbe anche un’intensa amicizia con un’altra donna,  la psichiatra polacca Wanda Poltawska, sin dalla giovinezza, amicizia durata cinquant’anni.

Nella Bibbia e’ noto che ci si riferisca all’amore con il termine agape, che implica il dono gratuito di se stessi. Tuttavia l’amore cristiano include anche l’amicizia (philia) e la passione (eros), comprendendo quindi in se’ una vasta gamma di “accezioni”, quasi a indicare la completezza, forse anche la complessità, dell’agape e tutto il mistero del Dio amore. L’amicizia quindi e’ una forma di condivisione molto intima e molto profonda e non vi sono distinzioni tra i "generi" su come vivere una relazione d’amicizia. 

Nella Bibbia poi si parla molto dell’amicizia e sono anche numerosissimi i racconti di amicizia. Ammonisce per esempio il Libro del Siracide: “Il parlare dolce moltiplica gli amici e la lingua affabile trova accoglienza. Prima di farti un amico, mettilo alla prova, non confidarti subito con lui. L'amico fedele è solido rifugio, chi lo trova, trova un tesoro. C'è chi è amico quando gli è comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. C'è anche l'amico che si cambia in nemico e scoprirà a tuo disonore i vostri litigi. C'è l'amico compagno a tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura. Per un amico fedele non c'è prezzo, non c'è peso per il suo valore” (Sir 6,5-15). È ancora: “Anche se hai usato la spada contro un amico, non disperare: potete tornare ancora amici. Se hai criticato un amico a tu per tu, non temere perché potete riconciliarvi; invece se l'hai insultato con arroganza, se hai tradito le sue confidenze o l'hai attaccato a tradimento, qualsiasi amico se ne andrà" (Sir. 22,21-22). Tra le più belle storie bibliche di amicizia vi è quella tra Rut e Noemi. Dice la protagonista del Libro biblico dalla quale prende il nome all’amica: “Perché dove andrai tu andrò anch'io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch'io e vi sarò sepolta. Il Signore mi punisca come vuole, se altra cosa che la morte mi separerà da te” (Rt 1,16-18).  Si può addirittura essere amici di Dio, come ci ricorda l’apostolo Giacomo a proposito di Abramo: “Si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio”(Gc 2,23). Gesù stesso proclamerà l’amicizia di Dio con l’uomo: “Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici”. (Gv15,14-15)

Non esiste nessun ostacolo o tantomeno proibizione a una amicizia tra un sacerdote e una donna. Come abbiamo visto, la Bibbia ha un concetto molto alto dell’amicizia e ne esalta il valore. Gesu’ poi aveva molte amiche. Spesso barriere all’amicizia tra un sacerdote e una donna possono essere di natura sociale, esterna, non "vocazionale". Il sacerdote ha fatto dono dell’espressione del suo eros (non del suo eros in se’ ma del suo esercizio nel matrimonio) per potersi donare a tutti, mentre la donna amica esprime la sua vocazione a seconda del suo stato di vita nella famiglia, nella società, nella scelta religiosa. Vi è spazio in entrambi i casi per una relazione di amicizia, quindi.

Una parte dell’istituzione Chiesa e’ storicamente “misogina” ed è quella che non vede di buon occhio (oltre a non saper vivere e riconoscere come preziosa) l’amicizia con una donna. Notava anche Papa Francesco recentemente: “Poi, io dirò che un uomo che non sa avere un buon rapporto di amicizia con una donna – non parlo dei misogini: questi sono malati – è un uomo a cui manca qualcosa” (sul volo di ritorno verso Roma dal Messico).  Si tratta spesso di figure sacerdotali che vivono al loro interno una affettività non equilibrata e non di rado repressa, spesso estrinsecata da un rapporto ambiguo con il denaro e il potere, nascosta dietro il tradizionalismo e l’ossessione per la “liturgia” stravolta in spettacolo e puro formalismo. Vi sono poi problematiche collegate alla cosiddetta lobby gay dei sacerdoti, che all’interno di una certa parte della Chiesa ha vissuto per anni in maniera corrotta e mondana, contribuendo a una sorta di “emarginazione” se non anche di “demonizzazione” della donna nella Chiesa. Vi sono poi alcuni preti che sono gelosi dell’amicizia tra un sacerdote e una donna. In quanto più rara, tale amicizia si estrinseca spesso in un legame molto speciale e molto forte. Pensiamo agli esempi di grandi santi, come Chiara e Francesco. Proprio perché così speciali, certe amicizie suscitano gelosie e invidie tra i preti, soprattutto tra quelli che mai saranno capaci di relazionarsi con una donna, a causa di una vita spesa sin dall’adolescenza solo in mezzo ai maschi, barriere psicologiche, atteggiamenti difensivi, ecc. Alcune di queste figure di preti elencati fin qui sembrano ricordare il clero cui S.Antonio da Padova si riferiva nei suoi sermoni: “Prelati vestiti come femmine in cerca di marito”.

Vi sono poi residui (a dire il vero non tanto residui) di una mancata attuazione del Concilio circa il ruolo dei laici (quindi anche quello della donna) nella vita della Chiesa – soprattutto ai livelli istituzionali più alti - che portano ancora oggi alcuni fedeli e la gente in generale a guardare con sospetto e a volte anche malizia una relazione tra un sacerdote e una donna, secondo una logica di “divisione” dei sessi che vige ancora in certi ambienti ecclesiali. Il grande ruolo che le donne svolgono nella vita della Chiesa, tuttavia, nelle parrocchie, nelle istituzioni educative e di carità, a vari livelli le porta ormai da tempo a lavorare fianco a fianco ai sacerdoti e ai religiosi, instaurando proficui rapporti di collaborazione e spesso anche di amicizia, contribuendo a sradicare certe visioni e certi atteggiamenti chiusi e sospettosi.

La sana amicizia tra un sacerdote e la donna ha sofferto e soffre ancora oggi di alcuni condizionamenti esterni, non nuovi  e non ancora totalmente superati. Ma gli esempi dei santi del passato, del Signore nei Vangeli, e oggi di San Giovanni Paolo II e tanti santi sacerdoti che lavorano con le donne nelle strutture ecclesiali e per il bene della società invitano i sacerdoti e forse dovrebbero incoraggiarli a ricercare una bella e sana amicizia con le donne - le prime testimoni della Resurrezione, le nostre madri, coloro che con la preghiera, l’insegnamento e la carità mandano avanti le famiglie e soprattutto quella grande Famiglia che e’ la Chiesa, in seno alle quali nascono la maggior parte delle vocazioni sacerdotali. 





Pellegrino di giustizia e riconciliazione in Messico

Riflessione sul recente pellegrinaggio di Papa Francesco  

“Voglio dire una cosa, una cosa giusta, sul popolo messicano. E’ un popolo di una ricchezza, di una ricchezza tanto grande, è un popolo che sorprende… Ha una cultura, una cultura millenaria…Voi sapete che oggi, in Messico si parlano 65 lingue, contando gli indigeni? 65! E’ un popolo di una grande fede, anche ha sofferto persecuzioni religiose, ci sono martiri – adesso ne canonizzerò due o tre – E’ un popolo, non lo si può spiegare. E un popolo non lo si può spiegare semplicemente perché la parola “popolo” non è una categoria logica, è una categoria mistica.” (Papa Francesco, conversazione con i giornalisti sul volo di ritorno dal Pellegrinaggio in Messico).

La “categoria mistica” del popolo può spiegare bene il senso del pellegrinaggio di Papa Francesco in Messico. Il Pastore universale cammina con il suo popolo, lo difende, lo incoraggia, si mette alla sua teste e, quando occorre, sta nel mezzo per condividere fino in fondo le sue sofferenze. E' la croce infatti l’altra categoria mistica attraverso la quale possiamo vedere più in profondità questi giorni così intensi. 

Quando riflettiamo sulla Croce, dobbiamo liberarci da un condizionamento spiritualistico che la colloca quasi fuori dal mondo, mentre essa e’ una forza di distruzione di tutto ciò che appartiene ai poteri di questo mondo. Gesù sulla Croce ha distrutto in sé l'inimicizia, ha distrutto gli steccati che separano gli uomini e ha distrutto ogni pretesa degli uomini di dominare gli altri uomini e le loro culture.

Papa Francesco pellegrino in Messico non annuncia solo  la giustizia ma, proprio come Gesu', cerca di realizzare le condizioni per la giustizia, con una parola chiara e "distruttiva". L’annuncio della giustizia non basta piu’; bisogna sostenere le  esperienze di abbattimento di tutti i muri, perche’ solo da lì si puo’ ricostruire. Chi innalza muri non è cristiano ha ancora affermato il Papa sul volo aereo.

Ecco allora Francesco in Chiapas, una  terra dove vivono dodici etnie e piu’ della meta’ della popolazione e’ cattolica. Una terra povera e spesso dimenticata, che non ha mai smesso di lottare per la giustizia e il riscatto sociale, con il sostegno in particolare di un suo grande pastore - il vescovo Samuel Ruíz García per piu’ di 40 anni  amatissima guida del suo popolo e anche grande punto di riferimento nella trattativa tra  il  sub-comandante Marcos, l’esercito zapatista e il Governo messicano. Il  Papa in ginocchio sulla sua tomba interpreta la richiesta di perdono della Chiesa e oltre la Chiesa per questo popolo troppo spesso dimenticato.

Poi Papa Francesco è arrivato  a Ciudad Juarez, al confine con gli Stati Uniti, di fronte alla città texana di ElPaso, tristemente famosa per il narcotraffico, lo  sfruttamento sessuale e il dramma dell'immigrazione dal Centroamerica.  Il Papa ha visitato anche il terribile carcere  di Cereso, e incontrato il mondo del lavoro per poi celebrare la Messa con i migranti proprio vicino al muro  della  frontiera. Demolire i  muri materiali e sociali per costruire ponti di un futuro diverso e piu’ umano per tutti e’ responsabilita’ e urgenza per tutti noi. Innalzare nuovi muri è una illusione della storia.

lunedì 22 febbraio 2016

La preghiera, forza che trasforma

Pensieri sulla Trasfigurazione del Signore
Don Francesco Pesce

Il racconto della Trasfigurazione segue il primo annuncio della Passione. Il Figlio dell'uomo dovrà soffrire molto, essere escluso venire ucciso. Questa è spesso anche l’avventura di ogni cristiano. Non mancano nella vita lunghi momenti di buio; il Signore però ci invita a guardare a Lui: "Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti” (Salmo 33). La Trasfigurazione non e' soltanto un anticipo del Mistero della Gloria di Dio, ma anche la nostra quotidiana certezza che Dio è sempre con noi, specialmente nei momenti della tristezza, del buio e della sofferenza.

Dice il Vangelo che Gesù sale sul monte per pregare, e "mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto (Lc 9,29).

La preghiera cambia la vita, fa vedere in profondità, oltre il velo, oltre le lacrime; la preghiera asciuga il volto e lo trasforma in un volto sorridente, trasfigurato perche' e' intima relazione con Dio, e' porsi in ascolto e dialogo con Lui. L’uomo antico conosceva l'importanza della preghiera, anche se a volte essa sfociava nella superstizione e nella magia. L'uomo dell'antichita' era un uomo di profonda spiritualità. L’uomo moderno invece spesso è un uomo solo che programma; programma bene il tempo e lo spazio, ma non prega più. Dobbiamo stare tutti attenti a non togliere dalla nostra vita, questa dimensione essenziale della nostra natura, prima ancora che della nostra fede.

E’ bello pregare, è bello stare qui dice Pietro (Lc 9,33). Dobbiamo recuperare la bellezza delle fede e del Vangelo, la Buona Notizia di Gesù. Dobbiamo recuperare la dimensione spirituale, trascendende ed escatologica della fede. Un Cristianesimo ridotto ad ideologia o peggio ancora ad ossessione moralista  non è autentico, non ci trasforma da dentro e non ci trasfigura all'esterno, non ci pone sul cammino verso la salvezza in Cristo, alleandosi spesso con il potere di turno e riducendo i discepoli a servi sciocchi di un padrone.

Nell'ultimo Angelus di domenica 6 agosto 1978 che non poté leggere, il "Papa della Trasfigurazione" - il beato Paolo VI - scriveva: “La Trasfigurazione del Signore… getta una luce abbagliante sulla nostra vita quotidiana e ci fa rivolgere la mente al destino immortale che quel fatto in sé adombra. Sulla cima del Tabor, Cristo disvela per qualche istante lo splendore della sua divinità, e si manifesta ai testimoni prescelti quale realmente egli è, il Figlio di Dio, «l’irradiazione della gloria del Padre e l’impronta della sua sostanza» (Cfr. Hebr. 1, 3); ma fa vedere anche il trascendente destino della nostra natura umana, ch’egli ha assunto per salvarci, destinata anch’essa, perché redenta dal suo sacrificio d’amore irrevocabile, a partecipare alla pienezza della vita, alla «sorte dei santi nella luce» (Col. 1, 12). Quel corpo, che si trasfigura davanti agli occhi attoniti degli apostoli, è il corpo di Cristo nostro fratello, ma è anche il nostro corpo chiamato alla gloria; quella luce che lo inonda è e sarà anche la nostra parte di eredità e di splendore. Siamo chiamati a condividere tanta gloria, perché siamo «partecipi della natura divina» (2 Petr. 1, 4). Una sorte incomparabile ci attende, se avremo fatto onore alla nostra vocazione cristiana: se saremo vissuti nella logica consequenzialità di parole e di comportamento, che gli impegni del nostro battesimo ci impongono”. 

sabato 13 febbraio 2016

Gesu' e' con noi nella tentazione e nella sopraffazione

Omelia della Prima Domenica di Quaresima
Don Francesco Pesce 

Un po’di cenere e un po’ d'acqua; come le nostre  nonne al fiume che lavavano i panni in questo modo. Cenere sulla testa il mercoledì che inaugura la Quaresima nel rito romano, e acqua sui piedi la sera del Giovedi' Santo,quando il Signore si china sulla nostra fragilita’e la sostiene. 

La Quaresima e’ racchiusa in questi due gesti semplici e sapienti. Le maschere di carnevale sono tanto belle, ma vanno bene solo per un giorno; poi c’e’ la vita con la sua faccia dura e vera, il cammino di un percorso impegnativo che coinvolge ogni uomo e tutto l’uomo, proprio dalla testa  ai piedi.

Oggi Gesu’e’ spinto dallo Spirito nel deserto; anche noi in Quaresima entriamo nel deserto, come sperimenta tanta gente che svestite le maschere, sa molto bene che la festa e’ finita e bisogna lottare giorno dopo giorno, ora dopo ora.

Gesu’ dicendo “non di solo pane vive l’uomo” non ci sta dicendo di rinunciare all’avere, ma ci indica una priorita’: fra l'essere e l’avere esiste naturalmente un rapporto necessario, ma il primato dell’essere sull’avere e’ fondamento della antropologia cristiana, e’semplicemente necessario per essere veramente felici

Condividiamo cio’ che siamo e abbiamo, e saremo felici veramente.

La seconda tentazione e’, direi, molto contemporanea: “Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio...

Il potere spesso agisce proprio in questo modo, e puo' trasformarsi in un’azione demoniaca. Credere di avere nelle proprie mani il destino degli altri, di interi Paesi a volte; esercitare la propria autorita’ con arroganza, anche nella Chiesa, servendosi di essa e non servendo i fratelli - come ci ha ammonito recentemente Papa Francesco; ridurre gli altri, i tuoi dipendenti, i tuoi collaboratori, quasi come una cosa di cui si puo’ disporre a piacimento; io lo do a chi voglio il posto di lavoro, lo do a quelli della mia cerchia e che magari si comprano e si vendono a poco prezzo....

Come pero’ diceva Antoine de Saint-Exupéry, in ogni deserto c'è un pozzo, in ogni amarezza c'è il germoglio di una risurrezione inaspettata. La Buona Notizia di questa domenica e’ che Gesu’ e’ con noi nella tentazione e nella sopraffazione, non ci lascia soli, ma gia’ illumina i nostri momenti di buio, nell’attesa della luce piena di Pasqua.

L'unità si fa camminando

Lo storico incontro e l'abbraccio tra Francesco e Kirill

Si sono incontrati in un aeroporto, luogo di arrivo e di partenza; la storia oggi e’ arrivata ad una vetta solo poco tempo fa insperata, e ora continua a viaggiare verso nuovi destini. Poco importa se tutto ancora non e’ chiaro, se bisogna ancora molto parlarsi; si sono incontrati e questo, dopo secoli di silenzi e incomprensioni, basta. Basta per chiudere per sempre una pagina sbagliata e spesso drammatica; basta per dire, alle religioni e al mondo, che e’ possibile ricominciare, si puo’ fare realmente una cosa nuova, che non parta piu’ da quello che hanno fatto prima a te, ma una cosa nuova, che solo lo Spirito sa fare. “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada”(Is 43,19).

Si sono abbracciati e hanno parlato per due ore, con franchezza ha detto Francesco, con ampiezza di contenuti sottolinea Kirill. I volti sereni e sorridenti mostrano che il desiderio della riconciliazione e dell’unita’ e’ sincero e orientato verso “iniziative” concrete realizzabili insieme. L’incontro stesso e’ gia’ programma e una realizzazione insieme, una Speranza che gia’ non delude, un "gesto di carità" basato sulla comune fede in Cristo.

Alla fine del colloquio, Papa Francesco e il Patriarca Kirill hanno firmato una Dichiarazione congiunta, che e’ stata limata fino all’ultimo e questo ne sottolinea l’importanza. Dice il Papa durante il volo per Cuba con finale destinazione in Messico dopo la tappa per questo storico incontro: “Non è una dichiarazione politica, non è una dichiarazione sociologica, è una dichiarazione pastorale, incluso quando si parla del secolarismo e di cose chiare, della manipolazione biogenetica e di tutte queste cose. Ma è ‘pastorale’: di due vescovi che si sono incontrati con preoccupazione pastorale”. La scelta “pastorale” della dichiarazione fa intendere come questa sara’ la strada principale da percorrere nel cammino insieme. Nel testo si parla fra l’altro delle comuni radici; c’e’ un appello per chiedere “alla comunità internazionale di agire urgentemente per prevenire l’ulteriore espulsione dei cristiani dal Medio Oriente”; si constata che le società sono  secolarizzate e che la famiglia e’ in crisi. Estesa è particolarmente degna di rilievo la parte riguardante la crisi ucraina e il problema dei cosiddetti “Uniati”.

Indubbiamente questo incontro e’ stato  anche un ritorno alle origini. La Chiesa apostolica sapeva che lo Spirito che le era dato non le chiedeva di guardare indietro, ma di fare sempre cose nuove. Cosa dice  oggi a noi la Chiesa delle origini? Lo Spirito non è un testamento da eseguire, il Vangelo non è uno scritto da ricopiare. Oggi come allora la Chiesa della Pentecoste  ha  il coraggio di accogliere nel suo seno i non-circoncisi; la saggezza di scegliere i "sette" per rispondere ai primi bisogni “degli orfani e delle vedove” nell’esercizio della carità; osa mettere per iscritto la buona novella che circolava fino a quel momento solo oralmente. Nel corso dei secoli, la Chiesa ha saputo confrontarsi con il mondo e compiere scelte controcorrente, inaspettate, spesso non comprese immediatamente anche al suo interno, che spesso hanno anche causato divisioni. Ma il Signore ci rassicura che i frutti si riconoscono dall’albero, pertanto non dobbiamo avere paura di essere un segno di contraddizione. 

I cristiani di oggi come quelli di ieri sanno che lo Spirito li chiama verso cose nuove. La Chiesa non può essere un cantiere chiuso; se il  soffio dello Spirito è rinchiuso negli otri delle immutabili tradizioni, se si è solo  guardiani del passato, quale Pasqua possiamo festeggiare? Quale Pentecoste possiamo attendere? Dobbiamo arrivare ad  essere prima di ogni altra cosa degli uomini uniti nello stesso battesimo, fra gli altri uomini, come Gesù che fece la fila con tutti gli altri per farsi battezzare. Si mise in fila, non ebbe nemmeno il primo posto, fu ultimo fra gli uomini. E per questo Dio disse: "Ecco il mio Figlio prediletto". Solo se saremo servitori gli uni degli altri  in mezzo al mondo, questa voce sarà anche per noi: “Ecco la mia chiesa  prediletta”.

Francesco Vescovo di Roma Papa della Chiesa Cattolica e Kirill Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, come si firmano nella Dichiarazione, non propongono  una Santa Alleanza, ma camminano insieme verso l’unita’, cosi’ come la vorra’ lo Spirito. L’unita’ si fa camminando, sottolinea il Papa.

Il Dio  di Gesu’ Cristo e’ il Dio dei cammini; percorriamo anche noi, ciascuno nella propria storia personale, il cammino ecumenico. Guardiamo oltre le difficolta’ e le incomprensioni. “Anche noi dunque, circondati da un così gran nugolo di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb12,1-2).

Isn’t it great to have friends come from far away?

Personal reflection on the interview about China and the Chinese People with Pope Francis
Rob Rizzo SJ

In entering into relation with another there is always the possibility of making mistakes while getting to know them, but I believe the biggest mistake would be to presume that we fully know the other and thus seal them within that definition.

I don’t have the pretention to think that I know what Pope Francis was thinking, but what he said about ‘the cake’ struck me. In this I saw an opening up, so as to not take ones own cultural background as a given, but to accept that the other may understand the very same thing differently due to different cultural backgrounds. Therefore this allows for dialogue and even gives space for interest and curiosity of one another to grow.

The possibility of making mistakes remains of course but should this scare or discourage us? I don’t think so, clearly the importance of acknowledging and evaluating the dangers remains however this should not discourage us from reaching out to one another. It is so freeing to hear that our (and my) past mistakes don’t mean that it’s all over. Rather than regretting the past and holding onto it, allowing it to keep me stuck in the past there is the opportunity to acknowledge it, learn from it and decide to walk towards a hopeful and realistic future. I love the image he used of water that keeps pure because it flows ahead, does it mean that the water has an easy and open stream ahead of it? I don’t think so, but the water as it flows downstream will naturally find even the smallest space to pass from, and as it goes along it is also purified passing through the rocks.

So what did I personally receive from Pope Francis’ interview? Hope, for dialogue, for learning and for resilience as this river flows.

mercoledì 10 febbraio 2016

We are fragile creatures, but preserved by the Father's love

The beginning of the Lenten time waiting for Easter

Today it is first day of the Lenten season, which will bring us to the Easter Triduum after 40 days, the heart of the liturgical year. In the Ash Wednesday, the Church makes a simple gesture that commemorates the fragility of the human nature, the fact that we are creatures.  In the Christian view, being creatures, though, means not only precariety, a sort of “negative” connotation characterizing the human beings, their nature and potential. Being creatures implies the existence of a Creator God, who loved us "since when we were in the maternal womb" and looks after us.  Certainly a Creator God, but first of all our Father. The “Credo”, the profession of the Christian faith says: "We believe in one God, the Father, the Almighty, maker of heaven and earth”. It is probably not a coincidence that God be mentioned first as a Father and then as a Creator and that the word "almighty" (which can also be scary and associated to a sort of super-power that is not necessarily good) is combined to the "role" of God as a father and not as the creator.  God is a father that can do everything for his children, by virtue of His love for them. In this human creature that is desired, loved and preserved by God, who is willing to do everything for His creatures up to even die to save them, the Holy Spirit lives. The Spirit – “the Lord, the giver of life”, the love between Father and the Son - will be with us as a consolator everyday “until the end of the age.”

Let us then live this Lenten time with hope, in reflection, meditation and prayer, remembering to be fragile creatures but, most importantly, to be loved and preserved by God, our Father. This can help us not to live this path in a fearful and sterile penitence, but as a time for conversion to the Gospel - the joyful news of the resurrection of Christ that changed radically and forever our life. Actually, not only the life of our own, but that of others, because the Gospel is "contagious".  

It is very meaningful what is last year Pope Francis said in his homily during the Mass of  Ash Wednesday: "Returning to the Lord 'with all your heart' means to begin the journey not of a superficial and transitory conversion, but rather of a spiritual itinerary with regard to the most intimate place of our person. The heart is, indeed, the seat of our feelings, the centre in which our decisions, our attitudes mature. That 'return to me with all your heart' involves not only individuals, but is extended to the community as a whole. It is a convocation directed to everyone: 'gather the people. Sanctify the congregation; assemble the elders; gather the children, even nursing infants. Let the bridegroom leave his room, and the bride her chamber'”. 

Creature fragili sì, ma custodite dall’amore del Padre

L’inizio dell’itinerario quaresimale in attesa della Pasqua

Oggi inizia il tempo della Quaresima, che ci porterà dopo 40 giorni al Triduo Pasquale, cuore dell’anno liturgico. Nel Mercoledì delle Ceneri la Chiesa compie un gesto semplice che ricorda la fragilità della natura umana, l’essere creature. Il fatto di essere creati, però, nella visione cristiana non si riduce a una connotazione di precarietà, quasi a una connotazione “negativa” dell’essere umano, della sua natura e delle sue potenzialità. Essere creature presuppone l’esistenza di un Dio creatore, che ci ha amato “sin dal grembo materno” e si prende cura di noi. Un Dio creatore si, ma prima ancora padre. Recita infatti io Credo, il simbolo della fede cristiana: “Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”.  Non è un caso forse che Dio venga menzionato prima come Padre e poi come creatore. E che la parola “onnipotente” - che può anche far paura e rendere l’idea di una “strapotenza” che nell’evolversi delle situazioni del mondo non necessariamente è legata al bene – e’ accostata al “ruolo” di Dio come padre e non come creatore. Dio e’ un padre che può fare tutto per i suoi figli, in virtù dell’amore che lo lega a lui.  In questa creatura umana desiderata, amata e custodita da Dio, che è disposto a tutto per lei fino a morire per salvarlo, abita poi lo Spirito, “Che e’ Signore e da’ la vita”. Lo Spirito – l’amore che lega il Padre e il Figlio - sarà con noi come consolatore, rimanendo con noi tutti i giorni, “fino alla fine del mondo”.

Viviamo allora con speranza questo tempo, nella riflessione, nella meditazione e nella preghiera, ricordandoci di essere creature fragili ma soprattutto amate e custodite da Dio Padre. Questo ci potrà aiutare a vivere questo percorso non in una penitenza fine a se stessa, timorosa e sterile, ma come una riconciliazione con Dio Padre e una conversione al Vangelo - la notizia gioiosa della resurrezione di Cristo, che cambia radicalmente e per sempre la vita. Non solo la nostra, ma quella degli altri, perché il Vangelo e’ “contagioso”.

E’ bello ciò che l’anno scorso, nel Mercoledì delle Ceneri, Papa Francesco ha detto nell’omelia durante la Messa: “Ritornare al Signore ‘con tutto il cuore’ significa intraprendere il cammino di una conversione non superficiale e transitoria, bensì un itinerario spirituale che riguarda il luogo più intimo della nostra persona. Il cuore, infatti, è la sede dei nostri sentimenti, il centro in cui maturano le nostre scelte, i nostri atteggiamenti. Quel ‘ritornate a me con tutto il cuore’ non coinvolge solamente i singoli, ma si estende all’intera comunità, è una convocazione rivolta a tutti: «Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo»”.

domenica 7 febbraio 2016

Papa Francesco e la Cina

Theresa Xiao

Nell’Estremo Oriente e in varie parti del mondo, milioni di uomini e donne celebrano il capodanno lunare. A tutti auguro di sperimentare serenità e pace in seno alle loro famiglie”. Cosi’ Papa Francesco oggi all’Angelus, pochi giorni dopo la pubblicazione dell’’intervista ad Asia Times (http://bit.ly/1KTQ8No), tutta incentrata sulla Cina. Il Capodanno Lunare o la Festa di Primavera e’ una delle festività più importanti e popolari dell’Asia orientale e sud-orientale – preferiamo queste denominazioni dalla connotazione meno eurocentrica –, in primis in Cina. All’intervistatore – finalmente un sinologo che conosce bene la Cina antica e contemporanea -, con parole cariche di ammirazione Francesco parla del Regno di Mezzo come di un “grande Paese”, con una “grande cultura” e un’“inesauribile saggezza”, un popolo che ha “molto da offrire al mondo”.



Sulla scia dei suoi immediati predecessori, Papa Francesco mostra una grande attenzione verso la Cina. Ciò che lo contraddistingue innanzitutto da gli altri papi però – e che costituisce un “vantaggio comparato” su cui forse è possibile ritagliare un maggiore margine di azione nell’ormai lunga e spinosa questione cinese – e’ il fatto di essere gesuita e latino-americano. Certamente la Cina associa i gesuiti all’idea di dialogo, apertura, scienza, cultura – incarnati in maniera paradigmatica nel grande missionario Matteo Ricci, in cinese Li Madou 利玛窦. Il fatto poi di non provenire dall’Occidente delle potenze coloniali – che ancora oggi ricordano ai cinesi una pagina di storia molto triste, un’onta, una ferita aperta – fa probabilmente vedere Francesco rispetto agli altri papi in una maniera diversa. Potenze occidentali cui agli occhi dei cinesi i missionari stranieri si sono spesso associati. Contribuendo a dare l’idea, che spesso persiste ancora oggi, che il Cristianesimo non possa essere altro che una religione straniera, per di più dell’ “Occidente imperialista”. Era frequente in passato un detto: “Un cattolico in più, un cinese in meno”, a sottolineare la natura aliena, quasi un’ “incompatibilità” di fondo tra Cina e Cristianesimo nell’immaginario cinese.

Francesco poi ha intrapreso con prudenza ma a quanto sembra con determinazione un cammino di riconciliazione e dialogo con la Cina. Certo riprendendo gli importanti passi dei predecessori, soprattutto la Lettera ai cattolici cinesi (http://bit.ly/1Xcv63Iforse già pensata sotto il pontificato di Giovanni Paolo II e realizzata da Benedetto XVI. Ma facendo abbassare i toni e lasciando meno spazio a voci indubbiamente autorevoli, quanto monopolizzanti, che soprattutto negli ultimi anni hanno sempre e solo denunciato il volto oscuro della Cina. Certi toni, certe insistenze e certi modi di rappresentare la Cina da parte di alcuni che hanno rischiato quasi di apparire come “profeti di sventura” non sono in linea con la Chiesa di Francesco. La Chiesa del dialogo, del rispetto reciproco, della misericordia. La Chiesa dove si guarda e si lavora su “ciò che ci unisce piuttosto che su ciò che ci divide”.  La Chiesa conciliare, insomma, che nel XXI secolo non può continuare a “bypassare” la Cina - spesso etichettata con immagini che sembrano vecchie di 50-60 anni fa - e a relazionarsi con essa a suon di condanne e perfino di scomuniche – che tanto hanno umiliato e ferito i cattolici cinesi. La grande Cina dall’antichissima civiltà, la Cina di Confucio, vissuto 500 anni prima di Cristo e grande maestro di morale e di armonia sociale. La Cina che ha generato la profondità di pensiero, poi evoluta in una spiritualità propriamente religiosa, del Daoismo, dalla creativa vitalità, e che ha accolto dall’India e plasmato il Buddhismo, che si è mescolato con le tradizioni filosofico-religiose indigene in un arricchimento reciproco. E per venire ai nostri giorni, la Cina che per prima tra i Paesi in Via di Sviluppo ha raggiunto gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e che negli anni 1990-2005 ha fatto uscire dalla povertà estrema più di 470 milioni di persone. Un esempio concreto per il mondo che la povertà si può sconfiggere se c’e’ la volontà politica. Un traguardo che al Papa che ha preso il nome del poverello di Assisi certamente non è sfuggito – a differenza di tanti, ecclesiastici, giornalisti e commentatori a vario titolo. Anche perché Francesco può contare su persone molto vicine che conoscono e comprendono la Cina e che sono con lui in profonda sintonia sulla linea da seguire - certamente la linea della prudenza e della pazienza, ma che non significa chiusura e mancanza di volontà a negoziare, a trovare un compromesso. Parole che non piacciono a molti, a chi non vede tante realtà, piccole e grandi, dove la mediazione e’ l’unica via perseguibile. Che tra l’altro forse non sanno che la “via di mezzo” è anche un valore della cultura cinese - il Giusto Mezzo e’ uno dei Quattro Libri inclusi tra i Classici confuciani. La cultura cinese enfatizza l’armonia tendendo a ricercarla, a vederla, anche laddove vi sono degli opposti che nella visione occidentale sono invece irriducibili. E dando spesso molta importanza alla forma, al “rito”.

Per la Chiesa in uscita di Francesco, tutto questo può rappresentare una grande opportunità di mettere a frutto il dialogo. Con un rispetto sincero per chi è stato e chi e’ oggi la controparte, unito a una consapevolezza profonda e pragmatica. Un “grande Paese” che ha fatto passi da gigante nello sviluppo socio-economico e ha acquisito un peso rilevante sul piano internazionale. Non senza lati oscuri – il problema ambientale, la sostenibilità di uno sviluppo tanto radicale quanto forse troppo rapido, le crescenti diseguaglianze sociali, le sfide associate all’imponente migrazione interna, l’invecchiamento della popolazione....Per non parlare del consumismo e del materialismo galoppanti, che stando erodendo i rapporti familiari e le relazioni sociali, corrompendo i valori tradizionali e mettendo a repentaglio il futuro delle giovani generazioni. Problemi che la Cina stessa ha imparato a riconoscere e ora cerca di affrontare.

E anche Papa Francesco mostra ancora una volta di conoscere tutto questo. Fa parte della storia dell’uomo, della storia dei popoli passare “attraverso luci ed ombre” ed e’ necessaria anche  una riconciliazione con la propria storia, il proprio passato, dice il Papa alla Cina nell’intervista, ma lo dice anche a tutti noi e a tutte le Nazioni. Di questa riconciliazione ha anche un profondo bisogno la Chiesa cinese. Anch’essa - spesso rappresentata con dei luoghi comuni, in maniera semplicistica e da chi non l’ha mai conosciuta direttamente - ha mantenuto la fede in tempi molto difficili. Tutta la Chiesa, non una parte sola. Un dono, una grazia che vengono certamente dall’ispirazione, dall’effusione dello Spirito.

Noi siamo sicuri e preghiamo che Papa Francesco non lasci cadere tutto questo ma lo valorizzi, lo porti a compimento, e non faccia perdurare lo stallo soffermandosi ancora su posizioni arroccate. C’e’ bisogno di guardare e andare oltre, di far si che la Chiesa cinese sia maggiormente e rispettosamente accompagnata dalla Chiesa universale per affrontare al meglio nuove e più recenti sfide - le stesse poste alla Chiesa (più in generale alla società), dell’ “occidente” – prima che sia troppo tardi. Il secolarismo, gli stili di vita mondani, il carrierismo e il materialismo, l’individualismo - che investono anche i cristiani e possono mettere in discussione la loro scelta esistenziale, offuscare la loro testimonianza di fede. E più intra ecclesia, il problema della formazione (culturale, teologica e spirituale) del clero e delle religiose, la partecipazione dei laici e più in generale l’attuazione del Concilio, il ruolo e la testimonianza dei cristiani nella società e nel mondo della cultura, l’annuncio del Vangelo in un contesto dove i cristiani sono una minoranza e dove il crescente benessere inizia a rendere più difficile tra i giovani fare scelte di vita radicali e di donazione totale alla Chiesa......

E’ tempo di abbattere “vecchi” muri di “inimicizia”, trovare punti di convergenza nei valori comuni che tanto possono contribuire alla costruzione della pace mondiale, e sostenere anche la Chiesa cinese a diventare con più profezia una chiesa veramente in uscita come non si stanca mai di indicare Papa Francesco.